Da qualche giorno sto rileggendo “Possessione” di Antonia S. Byatt. Si tratta di un romanzo che ho molto amato e che, riletto a distanza di alcuni anni, ha guadagnato ancora molto ai miei occhi. Insomma, lo candido senz’altro a classico.
Ho cominciato a rileggerlo per via della storia di Melusina e delle leggende bretoni, ma mi sono poi soffermata con particolare attenzione sulle pagine in cui viene riportata la corrispondenza tra Christabel LaMotte e Randolph Ash. Anni fa quelle pagine erano cadute come un turbamento, una consapevolezza nascosta che negavo perché legata ad esperienze ancora molto recenti e che non amavo rievocare: l’innamoramento che nasce dalla condivisione dei gusti letterari, talvolta dalla condivisione degli stessi testi. La menzogna è trasparente da subito, e tuttavia gli attori sinceramente non se ne accorgono. Confondono il fine, ancorché non dichiarato, coi mezzi; credono di parlare di Dante, ma parlano d’amore.
La Byatt ricostruisce l’innamoramento epistolare con talento superbo e aggraziato. Le parole diventano promesse di baci o li sostituiscono.
Nel romanzo di Byatt la tensione progressiva verso il Contatto, verso l’Incontro viaggia attraverso alcuni mesi. Di fatto, infine, la protagonista sceglie di credere che l’interferenza dell’amica e il furto delle lettere costituiscano la ragione principale della propria rinuncia finale all’isolamento. Sceglie di credere, e di far credere, che sia naturale la ripicca nei confronti dell’amica, che sia indispensabile un colloquio di scuse con il suo corrispondente.
Scusarsi di cosa, poi? Di essersi fatta sottrarre lettere e poesie della cui esistenza nulla sapeva? Ma tutti noi cerchiamo istintivamente l’Alibi Migliore (che bellezza usare le lettere maiuscole come appunto avviene in tutta questa letteratura vittoriana…), quello che ci fa fare miglior figura, quello che meno ci espone alla critica, alla derisione, alla condanna…
Del resto anche il protagonista accoglie questa motivazione come perfettamente logica. Si noti che, ancor prima della sottrazione delle lettere, Christabel lascia intendere una certa inclinazione a lasciar cadere la relazione epistolare, ormai consapevole di quanto sta avvenendo in lei; ed anche in lui. Avverte tutto l’ascendente che ha guadagnato, non dubita dell’interesse di Randolph Ash nei suoi confronti, e neppure più della natura di tale interesse, in fondo. La natura, appunto, nutrita di letteratura…quale mostro divoratore può diventare, quale labirinto di specchi.
La buona decenza, la morale vittoriana, il decoro e il controllo non sono motivazioni sufficienti: Christabel LaMotte e Randolph Ash sono individui di forte intelletto, indipendenti, onesti; non è certo una predica di un vicario a indurli all’Inganno, di se stessi in primo luogo.
Sono giunta alla conclusione che siano la rinuncia – anche solo parziale, anche solo momentanea – a se stessi, la perdita imprevista del controllo a rendere urgente, inevitabile, la manciata di polvere negli occhi, il getto d’inchiostro della piovra che oscura temporaneamente l’acqua: per alcuni questo gesto prende la forma della poesia e del romanzo. Si tratta, al contempo, di una via di conoscenza aperta all’altro e di una tattica di disorientamento, più o meno abile.
Costa molto cedere quel poco che si è , eppure piace, io credo, l’idea di avere molto da dare.
In ogni caso, il romanzo è strepitoso. Per me, poi, che indulgo continuamente in storia bretone, sfumature di verde e rumori d’acqua, è un’autentica festa, sì.
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