i nove canti – Il signore delle nubi

Lo sciamano e la sciamana di queste poesie cinesi sono individui estaticamente innamorati, perdutamente rapiti.

Per essere franca, detesto un po’ la parola sciamano, per via dell’abuso che se ne fa; in cinese l’individuo eletto e dannato, l’innamorato della dea, l’amante del dio si chiama wu.

Costoro vivono la delusione infinita di una storia d’amore conclusa e la tragedia dell’abbandono. Si immergono nei profumi dei fiori e delle erbe, intrecciano steli, si bagnano con acqua d’orchidea; del mondo degli uomini nulla vedono, danzano a occhi spalancati cercando la principessa in arrivo sul fiume o il dio che scende in lunghe spire dalle nubi. Ansimano di attesa, di piacere trattenuto, infine di pianto amaro.

Gli déi li investono con il loro amore numinoso, feroce, vendicativo; pretendono la schiavitù del cuore, ma si riservano il capriccio di abbandonare.

I testi non descrivono mai il momento del possesso, il culmine dell’estasi e tuttavia lo lasciano intuire, proprio con il loro silenzio, con chiarezza sconcertante.

Le poesie, nella lingua originale, hanno un ritmo arcano e sono squisitamente concise; i versi sono ritmati da un suono (aah? hsi?) ansimante, dalla voce vera dell’uomo e della donna che faticano a respirare normalmente, in presenza del dio, durante la danza.

La traduzione dei brani è ardua e in molti casi sono possibili svariate interpretazioni; l’assenza di soggetto, in una lingua non flessiva come il cinese, rende ancora più ambiguo il significato in molti luoghi: mentre è evidente la compresenza, sulla scena dell’azione, di individui di sesso diverso, non sempre è chiaro chi dica o faccia cosa. E tuttavia la magia, nel senso più puro, delle poesie, rimane perfettamente intatta.

Le poesie sono databili intorno al IV secolo a.C., e appartengono a luoghi e civiltà precedenti all’avvento degli Han, che segnarono l’inizio della cultura cinese nei suoi aspetti più familiari (unico potere centrale, confucianesimo e strutture sociali conseguenti,  sofisticata struttura burocratica…). Ma non scriverò altro, ora tocca alle poesie.

Comincio con “Il signore delle nubi” (Yun zhong jun), una delle più brevi e, per me, di traduzione accessibile. E’ molto probabile che tornerò a rivedere questa traduzione in futuro, ad ogni modo.

Mi sono bagnata con infuso d’orchidea – hsi..

Ho lavato i capelli con acque profumate – hsi…

Ho vesti di mille colori – hsi…- sono come un fiore.

Il dio si snoda in lunghe spire – hsi…- ed ecco si è fermato.

Brilla, brilla – hsi… – di luce senza fine.

Presto riposerà- hsi…- nel Palazzo della Lunga Vita.

Come il sole e la luna – hsi…- risplende e rifulge.

Su un carro di draghi- hsi…, magnifico d’aspetto,

il suo volo invade il mondo intero.

Il dio era disceso – hsi…- splendido, maestoso,

Ma ecco – hsi…- ora si allontana come tempesta, in alto, tra le nubi.

Osserva le terre di Jizhou – hsi…- e ancora più in là,

Oltre i Quattro Mari – hsi…- ovunque egli giunge.

Io penso al mio signore- hsi…-, e molto sospiro.

Soffre il mio cuore – hsi…: di dolore mi consumo.

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