VENEZIA (II)

Camminavamo indefessamente, passi rapidi, decisi, passi giovani, senza mal di schiena. Cercavamo di non perdere neppure un’ora delle lezioni disseminate per le mille sedi veneziane. Spesso ci riuscivamo; seguivamo sempre metà delle ore di lezione di storia, consistenti in un minuzioso riassunto del libro di testo, senza il minimo scarto, ma poi tagliavamo la corda per concederci la lezione di storia dell’arte, all’ultimo piano di Ca’ Foscari, che finiva alle otto di sera. Concederci è la parola giusta: un autentico godimento dei sensi, vuoi per la materia, vuoi per la scarsissima presenza di altri studenti, vuoi per il fascino indubbio del docente, vuoi per la collocazione dell’aula, negli attici.

Dopo un tratto di strada assieme ci separavamo. La strada che facevo io costeggiava il muro di cinta di una casa, traboccante di caprifoglio nella stagione giusta. (L’odore del caprifoglio è secondo, per divinità, solo alla magnolia.)

Poi, a casa, altro studio: caratteri cinesi su caratteri cinesi, pagine e pagine di esercizi. Per svagarsi, storia della Cina, storia dell’arte cinese, letteratura cinese, filosofia cinese.

Senza sosta, senza rimorso, quasi trattenendo il respiro.

Mi piaceva andar per musei: Ca’ Rezzonico, il Correr, il Peggy Guggenheim, le Gallerie dell’Accademia; le mostre a Palazzo Grassi; la collezione di arte orientale a Ca’ Pesaro. Per arrivarci, a Ca’ Pesaro, bisognava esserci già stati, punto. Impossibile imparare la strada.

Visitavo le chiese, anche se con minore entusiasmo. Fin da allora.

Il telegiornale lanciava l’allarme di acqua alta almeno quattro volte per inverno. Acqua veramente alta, in quattro anni, l’ho vista due, forse tre volte. Indossavo gli stivali di gomma e andavo a camminare. Più che passeggiare, si remigava allora, un pagaiare lento, misurato delle braccia nell’aria per darsi la spinta necessaria. I passi diventavano fluidi, l’aria era di felice tragedia.

La pioggia, a Venezia. La neve, a Venezia. Soprattutto la neve, una sera che arrivai da Milano e tutto era bianco e silenzioso, ma c’era già la luna su tutta quella neve, su tutta quell’acqua. I miei passi crocchiavano. C’erano solo loro, i miei passi, il cuore, la valigia.

Il giorno prima di partire da Venezia per sempre comperai una murrina. Azzurra.

L’ho indossata di rado; a mia figlia piace molto osservarne i colori in controluce.

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