euriclea

Qui comincia il percorso a ritroso.

E’ tornato, padre Zeus, è tornato!

Continuo a ripetere queste parole nella mia mente e non capisco come io possa tacere, come riesca a non correre da Penelope abbracciandola per vederla finalmente piangere di gioia e non di dolore, dopo tanto tempo.

Gli anni l’hanno forse mutato ma un dio mi annebbiava gli occhi; quando ho toccato la cicatrice l’ho rivisto all’improvviso come allora, quando il cinghiale lo ferì e lo riportarono a casa pallido e insanguinato, un giovinetto con gli occhi orgogliosi per la sua prima avventura e la sua prima ferita. Mi ha imposto di tacere e minacciato: non me ne sono offesa. Avrei rischiato di perderlo, gridando tutta la mia felicità, questo lo capisco. Non so cosa farà, insieme agli altri uomini che gli sono rimasti fedeli – sono così pochi!

Ma certo ora le cose cambieranno, è inevitabile. Presto qualcosa accadrà e mi sorprendo a osservare le altre schiave, quelle giovani che si sono unite ai pretendenti, e mi chiedo quanto ancora vivranno costoro.

In questi lunghi anni – davvero ne sono passati solo tre, da che i pretendenti approfittano di noi? – le ho osservate col distacco e l’amarezza di chi non può nulla e cerca di contenere i danni e il pericolo. Le ho viste offrire se stesse e anche quello che non posseggono, le ho sentite ridere alle mie spalle e farsi beffe della regina. Le cagne.

Non esiterò quando Odisseo mi chiederà di indicargli le schiave fedeli e quelle infedeli. Tutti i nomi sono ben chiari nella mia mente. Bambine, le ricordo tutte, quando in questa casa io e la regina insegnavamo loro tutto quello che deve sapere una donna. Abbiamo commesso evidentemente qualche errore, con alcune. Melantò, col suo volto bellissimo e l’incedere superbo, forse credeva – ha sempre creduto! – di poter ambire ad un ruolo differente da quello che il destino le ha assegnato.

Non io. Il mio destino si confà perfettamente alle mie inclinazioni. Non ho avuto un marito ma Odisseo e Telemaco sono i miei figli e Penelope è mia regina, mia figlia, mia compagna. Insieme, i nostri giorni hanno conosciuto l’armonia e l’amicizia. Per questo mi pesa il silenzio che mi è imposto, come quando Telemaco andò in viaggio e dovetti tacere. Allora ero piena d’angoscia, oggi mi mordo le labbra per non gridare di gioia.

Avvolgo le stuoie e le coperte, osservo le ancelle accendere il fuoco, preparare la sala per l’ennesimo banchetto dei pretendenti. Odisseo è là, in un angolo, negletto, lui, il signore di questa casa! finge di contentarsi  della loro elemosina. Lo hanno maltrattato e avrebbero voluto che Iro lo uccidesse a pugni: mi stupisco che non si siano impensieriti, vedendo con quanta facilità l’ha battuto, e i muscoli sodi che ha rivelato sotto gli stracci. Credo che il dubbio, almeno, dovesse sorgere…meglio così. La folgore li colpirà senza rimedio, almeno così auguro loro: la vendetta li attende.

Poco fa il mio signore mi ha ingiunto di salire nelle stanze delle donne insieme a Penelope, di serrare la porta e di non uscirne. Giungono ora grida. Ne ho sentito uno, terribile, il primo…mi è parsa la voce di Antinoo e vibrava d’orrore.

Chiudo gli occhi, premendo i pugni alle tempie, e stringo la mano di Penelope. In bocca ho il sapore della vendetta, e sa di bronzo.

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  1. From Hortus conclusus - ATENA on 28 Gen 2012 at 6:26 pm

    […] Il percorso è lungo e per seguirlo a ritroso si può cominciare da qui. […]

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