PENELOPE

Euriclea mi ha detto che oggi sono bellissima, come se mi fosse caduto dalle spalle il dolore, eretta e più bianca dell’avorio tagliato. Sarà per questo che le ancelle mi osservano tanto, quest’oggi: la mia bellezza appassita, spenta dagli dèi, sembra aver trovato nuovo vigore nel sonno.

Ora scenderò nella sala e li affronterò di nuovo. Non sono ancora finite le mie astuzie. Credono forse che le mie risorse si siano esaurite con l’inganno della tela?

Quella fu una buona idea, comunque, ottima anzi, finché è durata. Mi rallegra ancora il pensiero del loro disappunto, di fronte a quella tela che non finiva mai.

Sono salita a prendere l’arco e le frecce; il passato mi ha colpito di nuovo nel cuore, ho pianto ancora, a lungo, su quell’arco. Com’è possibile soffrire ancora così intensamente, dopo tanto tempo?

L’arrivo dell’ospite straniero di Telemaco mi ha turbato e, inspiegabilmente, infuso nuova speranza. Mi sorprendo di me stessa: aver parlato con tanta confidenza ad un perfetto estraneo! Tanti sono venuti assicurandomi il prossimo ritorno di Odisseo, perché fidarmi proprio di costui?

Stanotte l’ho sognato di nuovo, il mio signore, giaceva nel letto, accanto a me; qualche nume prova certo piacere a tormentarmi con questi sogni che mi risvegliano al pianto.

E ora, questa gara. Sono giovani e valorosi, i miei pretendenti, e così stolti e insignificanti al tempo stesso. Nessuna loro offerta, nessun loro invito mi ha mai tentato: apparterrò solo a me stessa, se non avrò mio marito.

Intanto, però, ho ottenuto doni sontuosi…quel monile di ambra e oro è un oggetto di bellissima fattura e gran pregio: brilla come il sole. Che paghino, almeno in parte, tutto ciò che divorano e sciupano in questa casa.

Li sfiderò a tendere l’arco di Odisseo e a scagliare una freccia attraverso il foro di dodici scuri. Quest’arco così ben costrutto e sontuoso, di corno liscio…ricordo, gemeva con strido di rondine quando egli vi si esercitava.

Sento in casa, quest’oggi, come una caligine densa; Teoclimeno, l’indovino giunto insieme a Telemaco, ha profetato sventure e se n’è andato, come atterrito dalle proprie visioni.

I miei pretendenti l’hanno deriso, naturalmente. Ma quest’aria funesta, questa sventura di temporale, anch’io la sento.

Si è fatta l’ora; le ancelle hanno sollevato il cesto delle scuri, io porto l’arco sulle mie braccia.

Ed ora sono qui, avvolta nel mio scialle come in un’armatura, esposta ai loro sguardi e tuttavia remota, qui accanto al pilastro.

Qualcosa di terribile e meraviglioso sta per compiersi. Nel mio cuore avverto orrore e delizia, e un presagio di quiete, infine.

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  1. From Hortus conclusus - CIRCE on 31 Dic 2009 at 7:16 pm

    […] che non cessa di affascinarmi ad ogni lettura, l’Odissea. Altrove mi hanno già parlato Penelope ed […]

  2. From Hortus conclusus - ANTINOO on 11 Feb 2010 at 2:47 pm

    […] altre voci dell’Odissea che onorano il mio giardino sono Penelope, Euriloco e […]

  3. From Hortus conclusus - calypso on 19 Feb 2010 at 10:49 am

    […] ora, dopo Euriloco, Penelope, Circe e […]

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