calypso

E ora, dopo Euriloco, Penelope, Circe e Antinoo…Calypso.

Come possono gli dèi essere così iniqui, come? Io sola l’ho raccolto, curato, ho nutrito in lui la vita in tutti questi anni. E ora devo lasciarlo andare, l’unico compagno della mia solitudine, l’unico essere che io mai abbia desiderato e amato, l’unico che mi sono conquistata giorno dopo giorno, notte dopo notte. Fanno sempre così, ogni volta che un mortale diventa l’amante di un dea. E non è solo questo…

Egli non mi vuole, questa è la verità che non riesco ad accettare. Io, che sono tutto ciò che di più desiderabile si può immaginare, non sono poi così desiderata, una volta raggiunta. Com’è possibile che sia sazio del mio desiderio mai appagato, dei miei capelli che gli scivolano sul petto come piume d’oro, della mia pelle che il sole può solo scaldare e accarezzare, ma non invecchiare? Eppure è sazio di me. Quando entra nel mio letto chiude gli occhi  e sento che immagina altre braccia, altre labbra. Non mormora altri nomi, ma non mormora neppure il mio.  Di giorno mette fra me e lui l’intera isola, con i suoi prati silenziosi e profumati di sedano e viole e le strida degli uccelli marini. I fumi odorosi del ginepro non lo inebriano, il mio canto non lo avvince. Posso fingere di dimenticare, talvolta, mentre lavoro al telaio, ma oggi Ermes mi ha obbligato alla verità, con il suo discorso brutale e irridente.

La sua ombra sulla soglia della mia grotta mi ha fatto sussultare. Era lì, Ermes, e osservava ogni cosa con sguardo ammirato eppure impaziente. Impaziente, era, di svolgere in fretta il compito cui l’ha obbligato Zeus e di andarsene da questa terra che gli provoca una vaga repulsione. Senza uomini, senza dèi, una terra sinistra nonostante i suoi boschi e le sue sorgenti. Nonostante me.

So bene che elargisco crudeltà anziché vita a Odisseo, trattenendolo qui, sospendendo il suo destino, ignorando i suoi desideri.  Ma mi è terribilmente difficile separarmi da lui. Ermes l’ha capito, ma non aveva comprensione da offrirmi, solo ordini.

Gli ho dato tutto quel che ho potuto, per non lasciargli scampo da me. Canto nella mia dimora, tessendo come probabilmente fa quell’altra, la donna mortale che forse lo attende, che certo egli rimpiange con disperazione. Attendo che la sera lo porti da me, ben sapendo che trascorre i suoi giorni piangendo sulla riva. Viene a me per dovere, per rispetto, per solitudine e forse per odio.

Ho sperato che la promessa dell’immortalità e il trascorrere del tempo gli facessero dimenticare gli anni vissuti prima di giungere qui. Forse questo sarebbe accaduto, se io avessi avuto la possibilità di trattenerlo ancora con me, ma non posso oppormi a Zeus.

E lui non vuole l’immortalità, debbo convincermene. Lui vuole tutto quel che ha perduto, anche i dolori e le fatiche. Vuole ritornare alla vita che fu sua e al pericolo della morte. Credo si consideri  morto ora, proprio per il fatto di vivere qui con me, senza stagioni, senza timori, senza speranze.

Dunque se ne andrà, io stessa dovrò aiutarlo ad abbandonarmi. Non è riuscito a dimenticare la vita mortale e, ironia, follia, mi ha quasi insegnato a desiderarla io stessa. Se gli dèi lo sapessero mi seppellirebbero con una risata olimpica. Eppure…

Se mai qualcuno si ricorderà di me, non sarà per tutta l’eternità dei secoli che ho trascorso a contemplare il mare e il vento sui prati di Ogigia, ma proprio perché ho sfiorato una vita mortale, questa di Odisseo. Mi immaginerà durante il colloquio con Ermes, o mentre converso con Odisseo e gli offro il mio vino – e il mio corpo, e infine mentre lo osservo allontanarsi da me sull’imbarcazione che ha costruito anche col mio aiuto. Non si volterà neppure indietro, nella gioia e nell’ansia di allontanarsi.

Chi si ricorderà di me…

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  1. From Hortus conclusus - ELENA on 17 Mar 2010 at 9:30 pm

    […] gli uomini e le donne dell’Odissea dentro la mia testa. Euriloco, Penelope, Circe,  Antinoo, Calypso, e ora […]

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