Si prevede la capacità di fare un passo indietro rispetto alla propria ombra.
Si dimentica la propria persona, con armi e bagagli si prende alloggio temporaneamente nell’anima di qualcuno.
L’ascolto necessita di capacità di ricordare: trattenere nella memoria parole altrui.
L’ascolto ha bisogno di occasione, tempo e volontà. Abbigliarsi mentalmente per l’ascolto come per una serata alla Scala. Esercitarsi alla consapevolezza.
Scoprire per attenta analisi nelle proprie parole che forse è preferibile ascoltare quelle altrui. Che quel che si ha da dire può attendere – per sempre, magari.
Non dimenticare mai la curiosità. Offrirsi delle opportunità.
Lo rapirono, Faber, nel mese di agosto
e a settembre ti ricominciò la scuola
e ti vedo, con la cartella dei tuoi fratelli
e lo sguardo già allora a forma di lancia.
Tuo padre ti parlava in italiano
tua madre nella tua lingua
– si profilava una scelta.
A dicembre cadde la neve
nel futuro risuonava Hotel Supramonte.
In quei mesi Faber capì
cos’è resistere, cos’è esistere.
Tu, ancora lo fai
– hai le spalle forti –
ogni giorno.
Non ti piacevano le giornate di vento
ma col vento, oggi,
sono venuta da te
e credimi, è un bel pomeriggio
d’inizio primavera
di quelli che fanno pensare
che il peggio sia passato
un’altra volta.
Ti ho pensato – Viviana –
come tale capace di:
vestire di bianco
spiegarti ad un uomo
specchiarti nel fondo d’argento
della fontana
sapere l’attesa
creare l’incanto
da foglie e da vento.
Il percorso è lungo e per seguirlo a ritroso si può cominciare da qui.
Mio padre mi rimprovera spesso di avere un debole per Odisseo. E provano malanimo nei miei riguardi gli altri dèi, quelli che lo odiano, che lo vorrebbero morto e sepolto – ma non dimenticato, un bel monito a comportarsi sempre giudiziosamente per gli altri uomini. Lui, Odisseo, propriamente giudizioso non è. Ed è vero che ho un debole per lui, e senza vergogna approfitto della predilezione di Zeus nei miei confronti per ricondurlo a vivere, per restituirgli il suo rango, la sua donna e la sua casa. Continue Reading »
Il dolore
è come un tronco d’albero.
Ci appoggio le mani, lo sento vivere
ne ascolto la linfa che suona chiara,
osservo la luce che lo saggia piano al mattino.
E non lo posso spostare.
Qui comincia il percorso a ritroso.
E’ tornato, padre Zeus, è tornato!
Continuo a ripetere queste parole nella mia mente e non capisco come io possa tacere, come riesca a non correre da Penelope abbracciandola per vederla finalmente piangere di gioia e non di dolore, dopo tanto tempo.
Gli anni l’hanno forse mutato ma un dio mi annebbiava gli occhi; quando ho toccato la cicatrice l’ho rivisto all’improvviso come allora, quando il cinghiale lo ferì e lo riportarono a casa pallido e insanguinato, un giovinetto con gli occhi orgogliosi per la sua prima avventura e la sua prima ferita. Mi ha imposto di tacere e minacciato: non me ne sono offesa. Avrei rischiato di perderlo, gridando tutta la mia felicità, questo lo capisco. Non so cosa farà, insieme agli altri uomini che gli sono rimasti fedeli – sono così pochi! Continue Reading »
Quanti cerchi di eccezioni si dipanano da una goccia di regola?
E come calcolare l’imponenza di uno sguardo in tralice,
come misurarne il peso sulle ore del tuo sonno – in minuti? in moti di buio? in macchine che passano?
Colloco una virgola nel discorso
come fosse la barra lucente che definisce il metro.
Allineo moduli, cioccolatini, ricordi.
E sempre mi stordisce la fuga felice delle cose dall’artiglio del mio controllo.
Questa bellezza
eternamente irresistibile –
quanta bellezza
sbatte contro le finestre
non c’è modo di chiuderle
per fortuna.
La Rusalka è un’opera teatrale di Alexander Puskin, rimasta incompiuta. Qui il testo, tradotto in italiano, che resta interrotto sul più bello, come da manuale. L’argomento della ninfa d’acqua dolce, ondina malevola e inesorabile, doveva esercitare un certo fascino sullo scrittore, che nel 1819 scrisse anche un poema sull’incontro fra una rusalka e un monaco: qui il testo tradotto in inglese. Ho escluso i testi originali russi per la semplice ragione che non parlo una parola di russo e non sono in grado di giudicare una pagina web in quella lingua.
Da bambina lessi questa storia in forma di favola e ne restai folgorata. Adesso ho deciso di riscriverla, con qualche variazione sul tema.
Sul fondo del Dnepr, nel punto in cui il fiume faceva una curva lenta, e dove era poco largo, ma molto profondo, vivevano le rusalke. Uscivano a sera, emergendo dall’acqua, e sedevano sulle sponde a chiacchierare e cantare, pettinando le lunghe ciocche verdi delle loro chiome, scuotendo l’acqua dalle morbide, lisce braccia. Poiché attiravano viandanti e bambini nell’acqua, uccidendoli per via di un oscuro risentimento incomprensibile per gli uomini, il luogo era poco frequentato dalla gente del paese vicino. Continue Reading »